Pages

tOUCH rugby

La stagione delle Wharton Wildebeest è ricominciata.

E sì, quelli sono dei bisonti colorati, per restare in tema.



Share/Bookmark

Rapido aggiornamento sulla sottoscritta

Un po' di gente mi scrive dall'Italia: "dove sei? Cosa fai? Ma insomma non si capisce niente!"

Riassumo in breve:

  1. Ho passato l'estate metà a NY (a lavorare per loro) e metà a Philly (a lavorare per loro)
  2. Ora sono fissa a Philly a studiare qui
  3. Sì, ho passato lo scritto dell'esame di avvocato ma non so ancora quando si degneranno di chiamarmi per l'orale. In ogni caso è l'ultimo dei miei problemi dato che ho deciso di non fare l'avvocato. (E allora qualcuno potrebbe domandarsi: "perché hai dato l'esame se non vuoi fare l'avvocato?" e risponderò a questa domanda molto presto perché è una storia interessante)






Share/Bookmark

Vivere nel LES - il rovescio della medaglia

LES negli anni '80: gli hipster primitivi usavano i pitbull per difendersi dai ratti
Il Lower East Side è uno dei quartieri più sporchi e vecchi di Manhattan. Chinatown e il suo stile di vita creano un substrato di immondizie a cielo aperto che la metropoli per eccellenza del primo mondo non dovrebbe avere. New York è, in generale, infestata da scarafaggi e ratti. Non è un mistero. Basta andare su Rat Information Portal per avere i numeri alla mano. È disponibile una mappa interattiva dove puoi monitorare la situazione con un livello di dettaglio spaventoso, prima e dopo l'annuale disinfestazione (in alcuni quartieri, tra cui LES, la disinfestazione viene effettuata ogni mese).

Questa la situazione nel LES a maggio 2010:



Giallo: passata ispezione
Arancione: segnali di ratti

Nella seconda ispezione la situazione migliora ma il problema è tutt'altro che debellato:

Confesso che, per quanto ammiri l'informatizzazione della città di New York, non voglio convivere con un topo. Certo, avere come vicini  i buddisti hipsters che si rifiutano di mettere le trappole perché "contrari alla violenza sugli animali" non aiuta. 




Share/Bookmark

Vivere nel Lower East Side

Era un po' che uscendo dall'appartamento di Canal Street, affittato a prezzo indecente per l'estate, vedevo dei tizi vestiti da geometri - ovvero con jeans, camicia col taschino laterale, cappellino, fogli e matite e quel buffo treppiedi giallo che si usa per misurare i muri e lo spazio tra quelli.

Quel giorno, uno dei geometri mi ferma e mi chiede molto gentilmente dove abito, chiedendomi in dettaglio la posizione delle finestre. Per superare la mia diffidenza, mi spiega che detiene regolare mandato dal proprietario del block (ebbene sì, a NY non solo molti palazzi, ma interi isolati appartengono ad una sola persona, normalmente una società) per misurare dettagliatamente tutta la sua proprietà, dato che i registri sono lacunosi, e che caso vuole che il palazzo affianco al mio è un teatro degli anni '20, in abbandono da un decennio, il cui muro occidentale è misurabile solo mediante accesso ad una specie di terrazza sotto la mia finestra. Tralasciando ulteriori interessantissimi dettagli ed interrogativi (tra i quali: "come è possibile che un pezzo di real estate che vale milioni di dollari non sia stato finora misurato?" e "ora si misura perché si vuole vendere?"), ho googlato questo teatro, noto come Lowe's. Questa è la sua storia.


  • Apre nel 1927 in un quartiere che è, senza mezzi termini, la feccia di New York. Vicino al porto, è abitato da immigrati proletari (soprattutto ebrei askenaziti e italiani) che vivono ammassati (i documenti parlano di oltre sette famiglie in palazzine fatiscenti di max 3 piani) in tenements
  • È di certo imponente, nonostante la piccola facciata: 2300 persone e un organo Wurlizer.
  • Fino al 1957, sarà gestito dalla compagnia Lowe's Theatres, che all'inizio lo usa come cinema muto (con classico accompagnamento di pianoforte dal vivo), poi cinema "normale"


  • Poi, il declino. Qualche ottuagenario ne ricorda i fasti, ma il posto diventa un sordido B-movie cinema, e viene acquistato dalla famiglia Sung, banchieri cinesi che nel frattempo hanno colonizzato la parte sud-est del Lower East Side e maggior parte di Little Italy, creando il quartiere oggi noto come Chinatown. Negli anni '90, il posto viene affittato and un hardware store gestito da cinesi che lo usa come magazzino, fin quando persino l'hardware store chiude.
  • Il teatro, nonostante l'abbandono, mantiene buona parte delle decorazioni originali in terracotta stile "barocco spagnolo" e forse anche qualche tappezzeria.
  • L'indirizzo esatto è 31 Canal Street, ma il lato di Ludlow Street è nettamente più ampio ed è divenuto oggetto di c.d. arte urbana o murales.
  • Infine, scopro perché i miei amici geometri lo misurano: pare che lo si voglia trasformare un un centro culturale per le arti cinesi. Da questo momento in poi diventa una storia di soldi e di brodetti immobiliari all'americana, a cui spero di dedicare un altro post in futuro, quando emergeranno altri succulenti gossips. Per ora, chiudo con lo scan dell'intera planimetria del teatro e questo fantastico slideshow.







Share/Bookmark

Momento merrittiano a.k.a. "Sai che sei nel L.E.S. quando..."

Sai che sei nel Lower East Side quando:

  • nessun negozio è più largo di 40 metri quadrati
  • nessuno parla la stessa lingua, nessuno sembra neanche della stessa razza in effetti
  • c'è sempre qualcuno all'angolo della strada
  • un caffè costa 1.50
  • dalle macchine ferme agli incroci proviene a volume assurdo "Wish You Were Here" dei Pink Floyd ma anche un qualcosa di Marc Anthony (salsa-star dei latinos)
  • trovi nei bar decorazioni come quella da me immortalata qui sopra (sorry per la qualità)

Chiudo con canzone-simbolo (nella mia testa)





Share/Bookmark

Momento gaddiano a.k.a. "sai che sei a Roma quando..."

Aspettando l'autobus, tra le macchine parcheggiate sulla fermata, ovviamente. C'è un omone, sulla settantina, capelli bianchi e faccia rossa, che chiede spiccioli agli astanti. Si avvicina anche a me, con la mano destra semi-protesa, e mi propone il classico "checcellà n'euro?". Io faccio spallucce con un educato "mi dispiace".
L'uomo ha gli occhi azzurro intenso, mi guarda fisso per alcuni secondi, troppi, al punto che mi viene il dubbio se mi veda o meno, o che sia affetto da manìe di persecuzione; poi allunga il braccio e mi dà un prolungato pizzicotto sulla guancia: "bbella de casa", mi fa, bonario. Poi se ne va da un'altra signora, come se niente fosse: "Checc'ha n'euro? Ah no scusi a lei jel'ho già chiesto..."

Come dicono gli americani: "you made my day".



Share/Bookmark

- spazio, + nuvole

Ho sempre odiato Myspace. Un sito nato brutto e rimasto tale, anzi, possibilmente peggiorato. Una popolazione di utenti malati che cercano di rimorchiarsi a vicenda e si attaccano le malattie peggiori dei social network: space-cluttering, overposting, over-friendship-requesting, personal spamming, e over-exposure di foto di cattivo gusto. Purtroppo, è stato "il primo", e sopravvive (ma è in costante declino, battuto da Facebook e Twitter) grazie a questa rendita di posizione: se sei un musicista e non hai un myspace, semplicemente non esisti.

Se Myspace fosse stato creato a Berlino, da gente che ascolta buona musica e ne sa di web 2.0, si chiamerebbe Soundcloud, che è il mio sito dell'anno.
Soundcloud non è esattamente come Myspace Music. Nelle parole del suo fondatore:
“Your typical music distributor has a very narrow-minded business model, it’s someone who takes an absolutely finished track and then delivers it to an online store. We have a much broader platform that people use for unfinished tracks, for collaborations, for parts of tracks, for being able to push things to places like Facebook or digital distributor outlets. It’s really built for the creator themselves to be able to do all these things. They can upload their own tracks, they can control their own statistics of what’s been played and who’s had access to it.”
E sta prendendo piede. In un mondo dove è impossibile fermare il leak e il dowload illegale via torrent, P2P, rapidshare e quant'altro, gli artisti e le etichette più lungimiranti (Rabid, Subpop, Atlantic, Kaki King, Caribou per fare qualche nome) scelgono Soundcloud per far conoscere la propria musica. Al contrario di Myspace, la parte "social" del sito è fatta benissimo: puoi "seguire" gli utenti che ti interessano stile feed-reader, puoi commentare le tracce in specifici punti, puoi mandare le tue tracce in giro, puoi embeddare (sorry puristi della Lingua Italiana) il tutto nel tuo blog-sito vattelappesca tramite una delle migliori API che abbia visto, e soprattutto la funzione "search" ha un senso. C'è anche la mobile version, ma che lo dico a fare.

Soundcloud si piazza quindi nella mia top 3 dei modi per scoprire nuova musica (al n.1 ci sono i blog, al n. 2 ci resistono ancora i tradizionali: radio e riviste). Ultima scoperta, grazie a Drownedinsoundcloud (idea geniale btw*), il nuovo album di Steve Mason (messo su Soundcloud dall'etichetta, la Domino, che oggi ha aggiunto il nuovo Fall) a.k.a. former frontman della fu Beta Band. Il disco sembra proprio un album della Beta dimenticato in un cassetto, e val bene un ascolto.

 Steve Mason - 'Boys Outside' by DominoRecordCo

* by the way



Share/Bookmark

How to push a single in the XXI century: a lesson by MIA










Ovvero, banalmente, immagine che ti si stampa nel cervello, link e embedding code subito sotto e ready to go viral.

Commento tecnico: MIA ha ascoltato un bel po' di Suicide recentemente. Il video non credo che lo passeranno su MTV così com'è, ed è un vero peccato: mi ha ricordato il grandissimo Stress.*

*EDIT: oh, sono brava - oggi scopro che è lo stesso regista, Romain Gavras.



Share/Bookmark

Turn the radio on

La radio, nella mia testa di bambina cresciuta con i telefilm di Italia Uno, è un'invenzione degli americani (a noi naturalmente ci raccontano che l'ha inventata Guglielmo Marconi, il distinto signore stampato sulle vecchie duemila lire, ma la storia non è proprio così semplice).
Qui nel paese delle Radio Stations, l'ecosistema radiofonico è del tutto diverso.
La tradizionale distinzione tra radio pubbliche e private non è applicabile. Sono i programmi ad essere "pubblici" (finanziati in tutto o in parte con fondi pubblici) o "privati" (finanziati in altro modo, non necessariamente for profit).
Esempio pratico: la radio della University of Pennsylvania, WXPN, è una radio non-profit, senza pubblicità, finanziata da donazioni, memberships e "soft sponsorships" (e probabilment dall'Università stessa, ma non ho capito in che misura). Ha un programma pubblico, World Cafe.
World Cafe nasce, viene prodotto e registrato da WXPN, ma si qualifica pubblico in quanto viene distribuito in 22 stati da NPR (National Public Radio), il principale public broadcaster degli U.S.
NPR è una specie di grosso contenitore di programmi registrati (dalla sua redazione o da altri) che distribuisce (non gratis) alle radio locali di tutto il pease, che mossono quindi trasmetterlo nelle rispettive frequeze, inserendolo nel proprio palinsesto.

Il prestigio di NPR è enorme. Altro che Radio RAI. Parecchie band di una certa notorietà scelgono NPR per far ascoltare in streaming il nuovo album in anteprima (ultimi i Broken Social Scene, peraltro il disco non mi pare niente de che), e i programmi sono di assoluto livello. All Songs Considered per esempio è programmone il cui podcast è scaricabile gratis da iTunes.

Poi c'è un mostro sconosciuto. La radio satellitare. La radio satellitare è esattamente come la TV satellitare: paghi un tot al mese, e puoi sentire un tot di canali. Via satellite, quindi senza il problema geografico delle frequenze. Qui la radio è presa abbastanza sul serio, e la gente che si fa l'abbonamento a Radio come Sirius XM, c'è. Non solo, se ti compri una Mini Cooper, una Toyota, una Ford o una BMW, Sirius ce l'hai incorporata nell'autoradio (PS: non c'è pubblicità). Inoltre, pare che se hai un bar e vuoi mettere la musica, la licenza per la radio satellitare costa molto meno, quindi qui tutti fanno così.

L'Europa ha lanciato il primo radio-satellite nello spazio l'anno scorso. In fondo le mie credenze sulla radio-oggetto-a-stelle-e-strisce non sono del tutto infondate.



Share/Bookmark

B, E, U,V, Y #2 - aka "I stick needles in my music"



V - Vinile
Se la caratteristica del decennio è la crisi del mercato discografico, causata dal calo verticale delle vendite, il dato più sorprendente delle statistiche non è l'aumento deidownload legali (prevedibile, e comunque insufficiente a coprire le perdite) bensì il revival del formato vinile. Le vendite dei vinili sono infatti salite costantemente negli ultimi anni, fino ad arrivare a un incredibile +50% nel 2009, superando il milione di copie vendute solo negli Usa. Per il supporto di registrazione più vecchio del mondo è una grande rivincita.

Ma perché questo fenomeno? Per assurdo, forse è proprio il già citato lettore mp3ad averlo causato. Il vinile è l'esatto opposto dell'mp3. Dove l'uno è piccolissimo, portatile, facile da procurarsi, facilissimo da ascoltare, l'altro è ingombrante, delicato, difficile da ascoltare e assolutamente non portatile. La verità è che se l'mp3 ha scalzato il cd per la maggiore duttilità e portabilità, non è riuscito a colmare un vuoto importante nel cuore dell'ascoltatore: il vuoto del feticcio, del prodotto, del supporto fisico. L'mp3 non è che una sequenza di zeri e uno, ma il vinile è molto più che un pezzo di plastica: è un oggetto di design che si porta dietro l'intera storia della musica. Chi, vedendo il vinile del suo disco preferito, riesce ad astenersi dal prenderlo in mano, anche solo per rimirarne la copertina? Purtroppo per il cd, quel quadratino simbolico dietro la plastica trasparente non ha mai reso giustizia all'artwork, che è parte integrante del prodotto-album (per non parlare diinner sleeves, foto, testi, gatefoldpicture discs e chi più ne ha...).

Fermo restando che difficimente oggi un apassionato di musica non ha un lettore mp3, il vinile è il complemento perfetto a esso, è l'oggetto ideale per compensare sia un'esigenza di qualità del suono, ma soprattutto un vuoto affettivo. Oltre a questi elementi, ce n'è un terzo, che per orgoglio i vinilmaniaci tendono a nascondere: non solo il vinile è figo, ma è anche raro, è anche esclusivo. Per suonarlo devi comprare l'apposita attrezzatura, è più costoso del cd, occupa spazio e tempo, insomma, non è da tutti sentire il vinile. Averlo, quindi, permette di sentirsi un po' speciali, un po' più fighi degli altri, un po' più appassionati di musica degli altri. Il vinile più venduto del decennio è "In Rainbows" dei Radiohead, e adesso non c'è gruppo che non faccia uscire il nuovo album anche in 33 giri. Il feticismo del disco nero, se a qualcuno può apparire snobismo, rappresenta anche il valore che alcune persone danno alla musica che ascoltano. Non valore monetario, bensì quality time. Nel mondo del file-sharing, degli mp3-blog, dell'iPod, dell'hard disk pieno di mp3 che non abbiamo mai ascoltato, della bulimia musicale, del singolo fast-food, il vinile resta saldamente ancorato ai suoi giri concentrici.

Quando lo ascolti, lo devi vegliare come un bambino. Ti costringe a concentrarti sulla musica, a cambiare lato dopo venti minuti. Il rito dello spinning, il fruscio della puntina sul piatto non è una mera attitudine, è ancora un gesto profondamente simbolico, a ricordare come la musica possa essere sì duttile, portatile e di sottofondo, ma anche così potente da riempire da sola una stanza e una mente intera.



link originale


Giusto in tempo per l'uscita di questo:





To Have & To Hold - Taster Tape from Jony Lyle on Vimeo.



Share/Bookmark

Doo-wop, pizza e mandolino


Questo signore qui, morto questa settimana ad anni 70 (R.I.P.), si chiamava Johnny Maestro, nato John Peter Mastrangelo nel Lower East Side, storico "ghetto" italiano di Manhattan (adesso sono parte a Brooklyn e parte nel Queens). Era il leader di un gruppo chiamato The Crest, salito nelle classifiche dell'America sorridente e puritana degli anni 50 con le hit "16 Candles" e soprattutto la fantastica "Step By Step".
Grazie alla sua morte, scopro grazie al miglior sito del mondo che il doo-wop stava agli italoamericani (quelli veri, cioè gli immigrati italiani di prima generazione) tanto quanto la mafia, la pizza e il mandolino - in questo caso chitarra.

Mi si consenta la citazione:

1958 heralded the rise of Italian doo-wop groups. This Italian-American sub-group took over a large portion of the genre (but certainly not all of it), from 1959 to 1964, when doo-wop "ended." Though some African-Americans moved toward their new creation, "soul music," this alone cannot explain the Italian genre dominance. Like African-Americans, the Italians also hailed from the inner city and urban areas. For example, Dion DiMucci and the Belmonts hailed from the Belmont section of the Bronx. And, like African-Americans, the Italians were generally very religious. They mostly attended Catholic churches, which gave them much singing experience. By the late 1950s, Italian street corner doo-wop groups were seen in urban cities like New York, especially the Bronx and Brooklyn. Some of the Italian groups who had national chart hits included Dion and the Belmonts in 1958 with "A Teenager In Love," The Capris with "There's A Moon Out Tonight" in 1960, The Four Seasons with Frankie Valli, The Elegants, The Mystics, The Duprees, Vito & the Salutations, Johnny Maestro, and the Del Satins. Other Italian groups included Dino and the Diplomats, The Four Js, Billy and the Essentials, and Randy and the Rainbows, who charted with their 1963 smash, "Denise."

 Perché agli italoamericani piacevano così tanto le vocal harmonies di tradizone nera? Perché erano così bravi a comporle ed eseguirle? Le radici musicali del belpaese (in questo caso, la melodica napoletana ed in generale le musiche tradizionali del sud) possono aver avuto un'influenza in questo trend culturale?

Mi riservo di rispondere a questa domanda, e all'uopo aggiungo alla mia reading list:
Goosman, Stuart L (2005). Group Harmony: The Black Urban Roots of Rhythm and Blues. Philadelphia, PA: University of Pennsylvania. ISBN 0-8122-3886-9
che sicuramente troverò in quel paradiso che è il reparto musicale della Van Pelt Library.

Dino and the Diplomats sono fantastici:





Share/Bookmark

Indie senza frontiere

Scopro solo ora l'esistenza di questo progetto veramente figo chiamato non a caso MAP: una specie di blogroll glocale dedicato all'indie music, i cui membri contribuiscono circa ogni mese una traccia da uno dei loro indieindigeni (il miglior neologismo che abbia mai creato). Non è purtroppo completo (però 34 paesi sono già parecchi), e soprattutto non tutti i blog che partecipano al network sono dedicati - come dovrebbe essere - alla diffusione dei gruppi emergenti delle rispettive nazioni.  Diciamo pure che se ne salvano pochi, tra cui:
ZonaIndie da Buenos Aires, Panamerika dal Messico (anche se non è un blog), I (heart ) icelandic music, il bavarese
Blogpartei (dalla stupenda grafica neo-bauhaus), Glue dalla Finlandia, e in generale gli scandinavi hanno un sacco di materiale "nostrano". Non conoscevo il blog sito inglese The Daily Growl, e il filocanadese I (heart) music, veramente interessanti. Ottimo anche Meio Desligado dal Brasile. Degli asiatici non se ne salva nessuno, o sono totalmente americanizzati, o sono troppo eccessivi per orecchie occidentali.

Big delusion gli U.S.A., sarà che ormai qui sono talmente settorizzati che ci sono music blogs anche sui gruppi emergenti della sola Philadelphia; la Spagna, che amavo seguire tramite il defunto Balbinablog, la Francia (ovviamente) e l'Italia, che mette lì la star della mafietta indieblogger bolognese Polaroid, il quale consiglia un gruppo di Ravenna che pare la versione loffia dei Be Your Own Pet, e che probabilmente si scioglierà tra 6 mesi. Ma in realtà non ce l'ho su con Polaroid, però mi dà sui nervi, non tanto perché in generale non parla di musica italiana (bensì della musica che piace a lui), ma per il fatto che al posto suo ci doveva stare o Breakfast Jumpers o quantomeno Enver, che è un po' impostato però le cose le sa.

Oggi voglio fare finta che la parte italiana di MAP la faccio io, e grido al mondo il nome dei Camillas, che sono di Pordenone e l'anno scorso hanno fatto uscire un disco che mi sono persa, "Le politiche del prato". Secondo Enver fanno happycore ( <-- jeez man!)*, secondo me è semplicemente pop. Un po' schizofrenico, ma capace di perle come questa:



I Camillas - La canzone del pane


* tipica espressione statunitense di disgusto




Share/Bookmark

It's always sunny in Philadelphia


No, non è vero.
Ha fatto schifo fino a ieri, ed oggi ecco il tipico sbalzo di 10 gradi della East Coast. Stavo quasi per scrivere l'ennesimo complaint sugli americani che al primo raggio i sole si infilano infradito e canottiera regardless della vera temperatura o delle sventate gelide da nord (e ovviamente del proprio peso e/o look), ma ci ho ripensato.
In fondo hanno le loro ragioni.
Ma molto in fondo.




Rogue Wave - Good Morning (The Future)

Dài weather che il nuovo Rogue Wave ci sta a palla con la primavera!



Share/Bookmark

Tomorrow, In a Year

Niente, riescono sempre a sorprendermi.
Band del decennio.
Gli Aldous Huxley dell'elettronica.


Peccato che la recensione mi sia uscita troppo lunga, a mia discolpa è un doppio cd.



KNIFE

Tomorrow, In A Year
(Rabid Records) 2010
avantgarde, electro-opera
C'è un progetto molto più ampio del solito nel nuovo album del misterioso duo svedese noto come The Knife. Niente di meno che un'opera, ma non un'opera lirica, bensì una "electro-opera", commissionata dal collettivo sperimentale danese Hotel Pro Forma proprio ai fratelli Dreijer. Si badi bene, questa non è una semplice colonna sonora. I Knife sono i librettisti dell'opera tutta, lavorando in autonomia rispetto alla compagnia teatrale e chiamando a loro volta a collaborare due nomi noti dell'electro teutonica: Matthew Sims (Mount Sims) e Janine Rostron (Plannintorock - la quale dovrebbe pubblicare a breve un nuovo disco per Dfa Records). Carta bianca quindi ai Knife, che si ritrovano tra le mani un tema sconosciuto quanto difficile: Charles Darwin.

"Tomorrow, In A Year" è una biografia musicale, dalla quale prende forma unaperformance teatrale incentrata su una delle figure più importanti e controverse della scienza. I Knife nulla sanno di opera lirica, né di Darwin. Leggono i suoi diari, vanno in Amazzonia a sentire i suoni che Darwin dovrebbe aver sentito nelle sue ricerca, apprendono la filosofia e anche la vicenda personale dell'uomo-Darwin. Tutto questo è messo in musica con un lavoro di 18 mesi, per essere interpretato da tre improbabili soggetti: Kristina Wahlin, mezzosoprano professionista, Jonathan Johannson, cantante pop di una certa fama in Svezia, e Laerke Winther, l'attrice protagonista dell'opera (le parti vocali minori sono eseguite da Karin Drejer, Planningtorock e Mount Sims).

Il risultato è divisibile in due parti, correttamente separate dal cd1 e dal cd2. La prima è avanguardia pura, se non lirica sperimentale. I virtuosismi canori della Whalin parlano di minerali ed ere geologiche sopra un tessuto sonoro oscuro, violento e dissonante come il movimento della lava nell'evoluzione terrestre. "Upheaved" comincia con un belcanto impazzito, soffocato poi da tastiere tenebrose e dissonanti, "Variation Of Birds" è un drone acuto  che si trasforma in un oscillatore impazzito, finché non giunge la melodia del coro, circondato dai versi selvaggi degli uccelli amazzonici. Le voci degli uomini, degli animali e delle macchine si confondono completamente tra loro per creare qualcosa di del tutto nuovo (con la melodia del soprano a imitare il volteggiare di un uccello) che forse può ricordare solo "Tilt" di Scott Walker. Sulla stessa linea anche "Letter To Henslow", dove i rumori della giungla recitano una ipotetica versione ornitologica di "Einstein on The Beach", e il noise naturalistico-strumentale di "Scoal Swarm Orchestra". Notevole anche "Ebb Tide Explorer" (eccezionalmente interpretata da Johannsson), dove registrazioni sonore a presa diretta si uniscono a macchine e nenie ossessive di sogni e fantasmi. 

Il secondo disco accantona i momenti più ostici per concedere di più all'elettronica e al ritmo, accontentando forse chi ricerca il suono dei Knife di "Silent Shout". "Annie's Box", che racconta della tragica morte della figlia di Darwin con una suite solenne trainata dalla voce del violoncello, è presente  anche in una versione alternativa, cantata da una Karin in stato di grazia che stravolge completamente l'atmosfera del pezzo, avvicinandola a quello che abbiamo recentamente sentito dal progetto Fever Ray
Interessante il lavoro sulle percussioni nella title track e in "Seeds", che è di fatto una traccia techno, ma il singolo scelto per presentare il disco, "The Colouring Of Pigeon", risulta invece stentato e indigesto come tutte quelle volte in cui artisti "leggeri" hanno cercato, inutilmente, di avvicinarsi all'opera lirica. L'effetto è un mischione di "Silent Shout" e rimandi operistici di basso livello, privo di struttura e rivomitato in un contesto troppo diverso per non rimanere noioso. Si redime solo con "The Height Of Summer", il vero singolo di questo album, marchiato a fuoco con le percussioni gommose dei Knife e un ritornello-killer: "How is Charles/ I haven't heard from him in a long long time/ A thousand years seems to pass/ So quickly". Darwin appare attraverso la musica dei Dreijer non come il padrino del crudele evoluzionismo, bensì come un paladino della diversità e delle variazioni non-gerarchiche: l'anomalia genetica che evolve la specie, come la geniale anomalia della musica dei Knife.

Come dicharato da Olof Dreijer, l'ignoranza completa del mondo lirico è linfa vitale per i Knife, che si approcciano ad esso per la prima volta in maniera istintiva e spontana: la ricercatezza e la sperimentazione non sono esercizi di stile, ma vera avanguardia, colma di significato. Sarebbe interessante vedere "Tomorrow, In A Year", per capire come l'elettronica sul filo del baratro dei Knife è stata messa in scena da Ralf Richardt Strøbech e Kirsten Dehlholm, anche se i video della performance presenti sul canale youtube di Hotel Pro Forma rivelano molto (azzeccatissima la scelta dello stile di Hiroaki Umeda per le coreografie: butoh/street dance schizzata e profondamente legata al gioco stroboscopico delle luci).
Difficile dire se l'approccio respectless dei Knife faccia presa sul mondo dell'opera contemporanea, ma al di fuori di quel mondo agli ascoltatori "normali" restano due scelte: (a) armarsi di cuffie e pazienza e ascoltare attentamente il cd1 fino a realizzare che i Knife sono avanti di un decennio; oppure (b) ascoltare il cd2 skippando qualche pezzo e accontentandosi di qualcosa che nel migliore dei casi è un compromesso, comunque inferiore alle precedenti produzioni dei Dreijer.
A voi la scelta (vale la pena ricordare che tutto l'album è disponibile in streaming gratuito), il mio giudizio finale non è che una media fra 8 e 6.

(15/3/2010)






Share/Bookmark

B, E, U, V, Y #1


these are a few of my favorite things - o meglio le lettere che ho scritto io nel mitico ABC del decennio.

In 5 simpatiche puntate.

B - Blog

Dieci anni fa scoprivamo le nuove canzoni alla radio, o sulle frequenze disturbate di Mtv. OndaRock ancora non esisteva, quindi compravamo le riviste per leggere le recensioni. Poi c'era il metodo più antico del mondo, l'unico che non sia ancora in estinzione: il passaparola.
Dove prima c'erano gli amici, gli amici dei fratelli maggiori e le cassettine, adesso c'è il world wide web. Era cominciato sommessamente con le chatroom di genere dei software p2p, dove potevi "sfogliare" le collezioni degli altri e provare qualcosa di nuovo, o chiedere in chat consigli e informazioni. Poi arrivò il boom dei blog, e nulla fu più lo stesso. Se con gli mp3 e il p2p ognuno poteva sentire qualunque cosa, con il blog poteva anche scrivere di qualunque cosa, e quindi promuoverlo.
E' la nascita del "buzz", del passaparola globale, un mezzo di informazione musicale che sta sorpassando tutte le altre tecniche di marketing tradizionale. Nomi lanciati dal "buzz" ce ne sono eccome: Of Montreal, Telepathe, Vampire Weekend, Saint Vincent e molti altri. Sono i blog il faro dell'indie, e le case discografiche hanno già cominciato a mandare demo ai blogger più influenti: Stereogum, Daytrotter, Largehearted Boy (se guardiamo questi blog ora sembrano delle webzine, ma all'alba del millennio erano semplici blog di appassionati!).

Nella seconda parte dei 2000, con la diffusione dei siti di hosting (Rapidshare e affini), il peso dei blog si accresce ancora, e nascono gli mp3-blog: testo ridotto all'osso, i post si riducono a una lista di link all'intero album. Per la gioia dei collezionisti, esplodono i blog di rarities: quello che era introvabile, ora non lo è più (ne esistono migliaia, focalizzati su generi di nicchia, ma vale la pena citare Mutant Sounds per il post-punk-avant-wave; Ripped in Glasgow per la detroit techno, Lagrima Psicodelica per il psych-prog-sudamericano, Paradise of Garage per obscure-garage e beat italiano e Orrore a 33 Giri per l'italotrash).
In barba a qualsiasi tentativo di fermare questo tipo di diffusione della musica, endemica quanto illegale, gli mp3-blog diventano i "robin hood della musica indipendente" (per citare il defunto blog capostipite della specie), con una missione ben precisa: promuovere la nuova musica, sostituendo di fatto tre step della catena di produzione tradizionale: l'etichetta, il distributore e il promotore. Il blog n. 1 in questo campo è Bolachas Gratis, che vanta centinaia di dischi linkati al mese (rigorosamente no-profit). La musica è come il latte fresco: viene portata sul "mercato dell'etere" in mattinata, e voi tutti fareste meglio a scaricarla subito, prima che il link non funzioni più perché qualche stupida etichetta ne chiede la rimozione. Al di là della ragioni che artisti più o meno affermati potrebbero avere a non vedersi il nuovo disco "dato via gratis", un mese prima dell'uscita, dal blog del sig. nessuno, è vero che molti blog rendono un servizio indispensabile per conoscere artisti autoprodotti che non troverebbero mai posto su Mtv o nelle riviste (si pensi a Breakfastjumpers per l'indie italiano).

E' chiaro che se l'industria musicale è collassata, è anche colpa/merito dei blog. Veloci, globali, freschi, realmente disinteressati dalle dinamiche commerciali che inficiano la credibilità degli altri mezzi di comunicazione, i blog hanno sovvertito il sistema. Ad oggi, l'unico modo per essere veramente aggiornati su cosa sta avvenendo nel mondo della musica è seguire i blog. Blogroll è la parola d'ordine e feed reader il mezzo, ma per i meno tecnologici mi permetto di segnalare i migliori "blog aggregator": Hypemachine, Elbows e Tuneage; e il superamento degli stessi (link diretto fan-ascoltatore): TheSixtyOne e Soundcloud. Ma qua ricadiamo nello streaming, per cui vi rimando alla Y.



Share/Bookmark

Fresh groceries

Novità della settimana:

* il nuovo singolo dei MGMT, la cui copertina è ancora peggio della precedente (ma il pezzo non è male). Hype violento su questo disco.


MGMT - Flash Delirium

* nuova canzone di LCD Soundsystem (che peraltro dovrebbero uscire col nuovo disco) per il film "Greenberg" di Noah Baumbach (l'ennesimo superjew newyorkese genio della cinepresa, dal trailer il film pare pietoso). La cosa fantastica è che non c'entra nulla con lo stile LCD, pezzo dilatatissimo senza traccia di drum machine o synth.


LCD Soundsystem - Oh You (Christmas Blues)

* E' uscito anche il singolo nuovo di She&Him ma non lo metto perché mi fa schifo (e baaaasta a far ballare Zooey Deschanel per vendere dischi, anche se funziona) però se avete occasione di vedere il video, fatelo pensando a Baby One More Time.


* Sempre questa settimana è leakato il nuovo disco di Caribou, tra le mie grandi aspettative dell'anno soprattutto dopo l'appetizer di "Odessa":



Feed your head ears.



Share/Bookmark

DEVOlution


DEVO: synth-punk band di quattro cinque pazzi che sapevano scrivere singoli al fulmicotone ispirandosi ad un immaginario futurista dove l'uomo era un mongoloide lobotomizzato dai media, socialmente alienato, decisamente patzo.

Quasi quarant'anni dopo sono ancora isieme a dirci che la profezia si è avverata. Inquetante quanto interessante la loro campagna di rebranding, ideata dall'advertising agency Mother LA (una Sterling Cooper sotto anfetamine, credo) ed annunciata da un falso CEO di tale DEVO Inc.: "You're going to like what you hear and see. I guarantee it!"

Il nuovo singolo, "Fresh", in compenso fa cagare.



Share/Bookmark

Realism is not Reality

Per chi se lo fosse perso, ecco il mio pippardone su Stephin Merritt (amo vantarmi definendolo "il più completo articolo in Italiano su Merritt mai pubblicato")

e, ovviamente, anche la recensione di "Realism" the Magnetic Field.

Resta fuori solo "Strange Powers", il documentario sul Nostro in programmazione al SXSW, ma solo perché non l'ho ancora visto... darn.


The Magnetic Fields - We're Having A Hootenanny



Share/Bookmark

The Last Rock Star

Non lo penso solo io, anche perché it's fucking true.
Jack White è l'ultima rock star as we know it, ovvero "stile ventesimo secolo".

E' abbastanza ironico come un genere figlio di un dio minore, garage di nome e di fatto, sia finito alle luci della ribalta dopo decenni di amplificatori fusi e overdose.

Non più di 3 giorni fa è uscito un live della band di punta di jack, il duo biancorossonero The White Stripes. Non sono una fan dei live, ma questo tizio è la persona più carismatica che abbia visto su di un palcoscenico (grazie Pukkelpop 06), e vederlo dal vivo può cambiare la tua vita. L'album si chiame "Under Great White Northern Lights" (in quanto registrato durante il tour canadese), ed è eccezionale, una scarica di elettricità à la Stooges, e si può ascoltare in streaming qui.



Tracks
1. Let's Shake Hands
2. Black Math
3. Little Ghost
4. Blue Orchid
5. Union Forever
6. Ball & Biscuit
7. Icky Thump
8. I'm Slowly Turning Into You
9. Jolene
10. 300 M.P.H. Torrential Outpour Blues
11. We Are Going To Be Friends
12. I Just Don't Know What To Do With Myself
13. Prickly Thorn, But Sweetly Worn
14. Fell In Love With A Girl
15. When I Hear My Name
16. Seven Nation Army




Share/Bookmark

Hoovering

Ho scoperto che hoover è un esempio di quella che in legalese si chiama "volgarizzazione del marchio". Esempio classico, lo scotch. Lo scotch in realtà è nastro adesivo, ma la marca di nastro adesivo nota come "Scotch" è così dominante sul mercato e così famosa che i consumatori la identificano col prodotto stesso. Ovviamente per un'azienda questa cosa è sia un successo che un disastro perché il tuo marchio diventa legalmente indifendibie.
Digressione da avvocato a parte, Hoover (è?) era una marca di aspirapolveri stra-famosa nei paesi anglosassoni, tanto da diventare sinonimo di vacuum-cleaner.

Speaking of which, è necessario rispolverare questo blog, dato che sono finalmente ritornata negli USA. Ho intenzione di apportavi anche alcune salutari modifiche, per cui aspettatevi molte novità, soprattutto musicali,

come questa

I'm back.




Share/Bookmark